Assertività femminili transculturali delle seconde generazioni nell’Italia multietnica tra intraprendenza imprenditoriale e creatività artistica

Annalisa Di Nuzzo

Dipartimento di Scienze Umanistiche, Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli


Abstract

Italy’s society, which has witnessed significant migratory flows for several decades, has been experiencing profound socio-cultural transformations. In particular, migratory flows have reshaped Italian culture and new identities belonging to multiple worlds, cultures, and languages have emerged. In this multi-ethnic Italy, an increasing number of immigrant women have become entrepreneurs, while others stand out as experimenters of new musical languages ​​by proposing their diversity. This essay aims to analyse their significant role in Italy, and above all how these young second-generation women live and interpret their Italianness and how they express and assert themselves.

Keyword : Transcultural identity; female migrant entrepreneurship; gender; female migration; second generation migrants


Premessa

La società italiana, investita da diversi decenni da rilevanti flussi migratori, sta vivendo profonde trasformazioni socioculturali. In particolare, i flussi migratori hanno riplasmato la cultura italiana e le nuove appartenenze identitarie, tanto da definire gli italiani di oggi, come sostiene Appadurai [2014], come appartenenti a più mondi e a più culture e linguaggi. Un’Italia multietnica che vede sempre più il sedimentarsi e lo stratificarsi di complesse soggettività che si esprimono e trovano spazi di assertività innovativa e di successo in campi diversi. Le nuove generazioni di italiani e italiane, figli e figlie di immigrati sono ormai protagonisti di questo mutamento.

C’è la necessità di osservare e definire le logiche e gli aspetti di queste trasformazioni alla luce di un’analisi in qualche modo longitudinale e comparativa con quanto accaduto nei decenni precedenti. Attraverso le storie di vita raccolte e l’etnografia transculturale che ne deriva, approfondiremo alcuni aspetti e dinamiche sia in abito economico-lavorativo che artistico-creativo. Si definiscono aspetti di una dimensione identitaria transculturale che sempre più caratterizza la società italiana, ma che si inscrive in un processo planetario; si tratta di definire i contorni e gli elementi sempre in divenire delle identità post-globali e pluridislocate in un’ottica glocale. La necessità di conoscere e riconoscere le persone e le loro storie di vita soprattutto in considerazione della definizione di vulnerabilità, ancora oggi ritenuta valida, per i flussi migratori femminili, ha mosso la mia ricerca condotta nel corso di questo ventennio sui processi migratori e le rilevanti trasformazioni che hanno avuto in Italia uno specifico incremento. Il breve saggio che segue vuole chiarire i mutamenti avvenuti, in relazione al significativo ruolo assunto dalle donne migranti nella società meridionale e italiana in generale, ma soprattutto come vivono e interpretano la loro italianità le ragazze delle seconde generazioni di immigrati e come hanno trovato la possibilità di esprimersi e affermarsi in diversi campi. In particolare, quest’etnografia e le riflessioni a essa correlate tentano di individuare i processi di integrazione riusciti e il contributo propositivo che queste soggettività rilasciano alla cultura italiana che diventa sempre più transnazionale. Sembra necessario, dunque, ricostruire le prime fasi delle migrazioni femminili, in particolare quelle legate alla cura e all’assistenza domestica per poi approfondire le attuali trasformazioni delle seconde generazioni e infine nella seconda parte del saggio aprire uno squarcio su altre integrazioni femminili di successo nell’ambito dell’arte e della musica e su come si possa vivere questo ruolo nelle nuove dinamiche transculturali italiane.

Migrazioni femminili trans-europee, nuove economie globali

La mia prima ricerca si è svolta tra il 2005 e il 2009 e continua tutt’oggi. In quella prima fase in particolare, sono state oggetto di osservazione le donne migranti che si occupano del lavoro di cura e di assistenza domestica provenienti dai paesi dell’Est [Di Nuzzo 2009] In quest’ ultima fase, l’analisi è soprattutto rivolta alla trasformazione che progressivamente ha portato queste donne e le loro figlie ad affrancarsi dalla domesticità e ad approdare ad attività di tipo imprenditoriale. Le migrazioni contemporanee hanno assunto caratteristiche globali, adeguandosi e adattandosi alle condizioni della contemporaneità. Lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione, del turismo di massa, del commercio internazionale, l’accelerazione e la rapidità dei mezzi di trasporto hanno favorito la diffusione dei modelli di vita occidentali anche nei paesi più poveri. Si sono trasformati soprattutto i legami familiari ed economici, si sono affermate nuove forme di imprenditorialità e di economia etnica, in cui le donne soprattutto di seconda generazione, risultano protagoniste consapevoli. Sono emerse nuove dinamiche di organizzazione all’interno dei nuclei familiari, nuove modalità di separazione e riaggregazione, nuovi confini transnazionali sempre più caratterizzati da una continua rinegoziazione della comunicazione e dei ruoli e delle mansioni lavorative tra i coniugi. In ultima analisi, quello che risulta sempre più chiaro è la natura complessa e diversificata di questi processi. L’etnografia del transnazionalismo costituisce un modo più aderente di comprendere il fenomeno migratorio, perché dà la possibilità di valutare le relazioni sociali concrete e il background degli immigrati attraverso uno studio dettagliato delle storie individuali. Un’etnografia legata a doppio filo all’antropologia della persona [Levy 2020], a definire soggetti piuttosto che numeri e statistiche e a ripercorrere le trasformazioni di ruoli e di nuova visibilità nei contesti sociali italiani. La prima evidenza che si riscontra in quest’ etnografia in qualche modo longitudinale è che nel corso degli anni un aspetto sempre più rilevante ha assunto l’imprenditoria migrante e l’ ethnic business  che investono i nuovi mercati sempre più transnazionali e le relazioni tra flussi migratori e le economie nazionali di accoglienza, e si rende sempre più visibile una presenza femminile significativa. Si sta realizzando una modalità nuova di sistemi economici produttivi ad essa correlati. Gli studi in proposito hanno sottolineato come in alcune aree del nostro paese, esperienze concrete d’imprenditorialità possono definire i nuovi rapporti tra economia, potere, solidarietà, differenze, diritti sociali e civili. Seguendo quanto sostiene la Sassen [2006, 106],

Lo scopo è quello di contribuire a un’analitica nuova che ci consenta di rileggere e riconcettualizzare le principali caratteristiche dell’attuale economia globale in modo da catturare le estrinsecazioni strategiche del genere, nonché le aperture formali e operative che rendono le donne visibili e ne accrescono presenza e partecipazione [Sassen 2006, 106].

La cooperazione internazionale si interroga da almeno trent’anni sul nesso fra migrazione e sviluppo: dapprima si pensava che gli aiuti allo sviluppo dei Paesi di origine avessero l’effetto di ridurre i flussi migratori. Lo slogan allora era «più cooperazione allo sviluppo per meno migrazione, ripreso nel dibattito politico con lo slogan «aiutiamoli a casa loro». Oggi invece si tende a sostenere «più migrazione per meno cooperazione allo sviluppo». Negli ultimi decenni si stanno sperimentando nuove strategie e paradigmi per associare efficacemente il fenomeno migratorio a più eque e lungimiranti politiche di cooperazione internazionale. L’emigrato viene valorizzato come vettore di sviluppo sia nelle comunità di origine che in quelle di arrivo rendendo virtuoso il processo di globalizzazione. Gli stessi migranti svolgono dunque oggi la funzione transnazionale di veri e propri agenti di sviluppo. Ormai da alcuni anni in Italia si è rivolta l’attenzione al tema delle attività imprenditoriali degli immigrati e, in generale, al lavoro indipendente svolto dagli stranieri. Sono fenomeni che hanno mutato profondamente il quadro dell’imprenditoria del nostro Paese, e che non sembrano destinati ad esaurirsi in breve tempo. Il lavoro indipendente degli immigrati si presenta come un evento composito e articolato al proprio interno. Le imprese degli immigrati, anche se spesso di dimensioni modeste, costituiscono non soltanto un fattore di benessere e un «ascensore sociale» per le famiglie di provenienza, ma anche fattore di coesione per la società nel suo insieme e una risorsa a disposizione per costruire con i Paesi di origine un partenariato commerciale e produttivo sensibile al tema della sostenibilità e aperto a prodotti e servizi di nuova concezione [Nanni 2020].

Oggi in Italia un’impresa su dieci è straniera. L’imprenditoria immigrata è una realtà che guida oltre 630 mila aziende, di queste 3 su 4 sono individuali [Unioncamere 2020]1

Oggi è cospicuo il numero di donne adulte straniere, spesso figlie di migranti, regolarmente residenti in Italia; secondo le ultime stime ISMU le donne, infatti, rappresentano il 52,4% degli adulti immigrati. Da quindici anni a questa parte la componente femminile ha cominciato ad acquisire un peso sempre maggiore dovuto sia all’aumento dei ricongiungimenti familiari, sia all’allargamento ad Est dell’area di libera circolazione europea, che ha comportato l’incremento di nuovi flussi esteuropei. Sempre secondo gli ultimi dati riportati dall’ISMU, queste donne adulte immigrate regolamentate provengono prevalentemente da Romania, Albania e Marocco, seguiti da Ucraina, Cina, Filippine, Moldova, India, Polonia, Perù, Sri Lanka, Nigeria, Egitto, Ecuador e Bangladesh.

Accanto a questa trasformazione economica insiste e coesiste, data la sedimentazione del fenomeno migratorio in Italia, una forte connotazione di spazi e modi di creatività artistica, dalla letteratura alla musica all’arte in generale, di cui sono protagonisti i cosiddetti nuovi italiani che sono inconsapevoli etnografi della nuova Italia multietnica, protagonisti di una nuova coniugazione di sentimenti, di valori vissuti che sono le chiavi più aderenti per leggere, comprendere, interpretare la complessità. Sono il segnale di un’Italia post-coloniale che si esprime coniugando più lingue, più stili musicali, espressione di una dimensione glocale inarrestabile e di quanto la diversità sia una ricchezza e di come le identità plurime producono, anche se tra problematiche contraddizioni, resilienze e proficue sincretizzazioni.

Le seconde generazioni: tra mutamenti culturali e visibilità sociale

Nella maturazione che l’Italia sta vivendo del fenomeno migratorio, assumono particolare rilevanza nella definizione dei cosiddetti «nuovi/e italiani/e» le identità che potremmo definire post-nazionali e che hanno a che fare con le stratificate esperienze di vissuto in particolare per quelle generazioni nate in Italia da genitori migranti. Il fenomeno è ormai rilevante: si tratta delle generazioni di figli delle prime ondate migratorie, le cosiddette «generazioni 2.0», una realtà che non può più essere ignorata e che ci obbliga a prendere coscienza di una trasformazione irreversibile nella geografia umana e sociale che investe anche il nostro paese. Secondo quest’ottica, interrogarsi sulle seconde generazioni diventa un luogo privilegiato per discutere del futuro delle nostre società, delle nuove forme della coesione sociale di cui hanno bisogno, nonché della produzione di identità culturali ibride.

Bastenier e Dassetto [1990] hanno sottolineato come ricongiungimenti familiari, nascita dei figli e scolarizzazione abbiano incrementano i rapporti tra gli immigrati e le istituzioni della società ricevente, dando vita a un processo di progressiva «cittadinizzazione» dell’immigrato, ossia «un processo che lo porta a essere membro e soggetto della città intesa nella più larga accezione del termine». Quindi, nel bene e nel male, la nascita delle seconde generazioni, anche in maniera involontaria, permette l’incremento delle interazioni, degli scambi e persino dei conflitti tra popolazioni immigrate e società ospitanti [Ambrosini 2004, 1-2] In questo processo di difficile costruzione emergono nuove assertività seppure con enormi difficoltà e contraddizioni.

Il bambino e l’adolescente straniero costituiscono il momento più avanzato del processo di confronto culturale dell’intera famiglia nella società, poiché sono proprio loro ad avere il primo contatto con le istituzioni e con i primi luoghi di socializzazione. Sarebbe improprio definirli «immigrati» dal momento che circa la metà di loro è nata in Italia e conosce il paese d’origine solo indirettamente, d’altra parte, definirli «seconde generazioni» assegna loro un’etichetta rigida, quasi a sottolineare un’eredità che passa di padre in figlio e che sembra connotarne l’identità in maniera perenne. Lasciare parlare le storie di vita e i concreti percorsi che si sono delineati attraverso le interviste è forse il modo migliore per evitare formali distinzioni di termini e fornire la dimostrazione di quanto sia complessa ed eterogenea la nuova identità post migrazione e di quante realtà siano nascoste dietro quel termine. Un’ etnografia sperimentale e interpretativa che ha a che fare con le trasmigrazioni e le società complesse in cui tutti si mettono in gioco superando l’antica dicotomia osservatore/osservato. La natura del fenomeno delle seconde generazioni ha reso sin da subito necessari degli studi che potessero seguire le «traiettorie» dei figli degli immigrati in un arco di tempo relativamente ampio. Gli studi più significativi nel settore, hanno quindi caratteristiche longitudinali, in modo da poter seguire i percorsi di avanzamento o discesa nella mobilità sociale con il passare del tempo2. Data la complessità della definizione, é necessario compiere un’ulteriore classificazione e suddividere la seconda generazione in base alle storie e ai viaggi di questi giovani, distinguendo sul territorio italiano diversi gruppi. Il primo gruppo potrebbe essere individuato a partire dai giovani nati in Italia o giunti qui nella prima infanzia. Si tratta dei giovani della seconda generazione in senso stretto, italiani de facto, ma che lo Stato italiano considera stranieri fino ai 18 anni di età, momento in cui potranno richiedere la cittadinanza italiana. Questo gruppo di minori ha vissuto il processo di socializzazione e di acculturazione nel paese di accoglienza. In particolare, i giovani nati in Italia non hanno fatto esperienza diretta del processo migratorio, e molti di loro conoscono il proprio paese d’origine solo attraverso i racconti nostalgici dei genitori.

Gli studi a partire dagli anni Novanta del secolo scorso hanno fatto sì che si riconoscesse la stratificazione della cultura e delle modalità di relazione di cui le seconde generazioni sono protagoniste. Portes introduce il concetto di acculturazione selettiva e affermava che «lo scopo dell’acculturazione selettiva non è la perpetuazione nella comunità immigrata, bensì l’uso del suo capitale sociale per migliorare le opportunità dei figli di immigrati in ordine al successo educativo e professionale nella società ricevente.» [Portes 2005] Come sta accadendo attualmente in Italia sono le seconde generazioni a scegliere in modo mirato quali elementi conservare del proprio bagaglio socioculturale secondo un processo che prevede la serena convivenza tra tratti che afferiscono alla cultura etnica d’origine e quella del paese ospitante. In tale circostanza, la famiglia e il gruppo etnico d’origine rappresentano il principale punto di riferimento per i giovani e questa densa rete di relazioni sociali può fornire anche importanti risorse economiche: essa può costituire un valido aiuto nell’inserimento lavorativo o nell’avvio di un’attività imprenditoriale permettendo così ai giovani migranti l’accesso all’istruzione di alto livello, il successo scolastico e professionale grazie alle innumerevoli risorse originate dal background culturale. L’appartenenza etnica vissuta secondo queste modalità, è vista come una risorsa e offre uno spazio sociale protettivo rispetto ai rischi che i giovani incontrano all’interno di forti ghettizzazioni, motivo per cui, questo stile di comportamento culturale condurrebbe a un’integrazione più efficace. È fondamentale il rapporto con i genitori ovvero la prima generazione quando si verifica quello che viene definito generational consonance , ossia quando tra le prime e le seconde generazioni vi è una comunanza di intenti e aspirazioni. In particolare le donne migranti della prima generazione hanno offerto alle loro figlie esempi di resilienza e assertività seppure spesso contraddistinti da fattori di crudeltà domestica ed esclusione, ma hanno dimostrato capacità di adattamento relazionale, empatico ed economico da cui però come vedremo le figlie vogliono prendere le distanze per proseguire il loro processo di nuove forme di italianità. In questo senso, la teoria dell’assimilazione segmentata offre ai precedenti interrogativi risposte adeguate e sufficientemente flessibili per spiegare le molteplici traiettorie di vita scelte dalle seconde generazioni di migranti nel loro percorso di inclusione sociale. Si tratta piuttosto di un’autentica integrazione fatta di reciprocità e di contaminazioni in cui diventano protagonisti sia i migranti che gli autoctoni. Un processo in cui nessuno resta immutabilmente se stesso. Su questa strada sembrano indirizzarsi le storie di vita che seguono e che raccontano una nuova Italia in cui è possibile integrarsi e promuovere una comune crescita economica e culturale.

Le seconde generazioni di imprenditrici in Campania

Entrando più nello specifico della migrazione femminile in Campania è possibile notare come la presenza straniera in Campania si sia modificata sia in termini quantitativi sia per le caratteristiche dei modelli migratori emergenti. La città di Napoli, in generale, ha rappresentato per la sua provincia e per tutta la Campania un polo attrattore gerarchicamente superiore al resto dell’area regionale. Tuttavia, si è sviluppata anche nelle aree più periferiche una significativa realtà di sviluppo di piccola imprenditorialità etnicamente connotata. Nello specifico, in relazione al ruolo svolto dall’imprenditorialità migrante, è opportuno sottolineare come la presenza straniera costituisce, oggi, una quota significativa dell’offerta imprenditoriale e una componente rilevante della demografia industriale, avendo assunto negli anni della recente recessione un ruolo e un peso relativo di importanza crescente Nella fase attuale della ricerca sul campo le donne immigrate da me prese in esame all’interno del territorio campano, sono provenienti dai Paesi dell’Est, in particolare di origine russa, ucraina e bulgara. In molti casi sono figlie di immigrate, che hanno visto le loro madri fare le badanti e che hanno fatto in modo di rendersi indipendenti e affrontare un percorso di imprenditorialità e di affermazione individuale, affrancandosi da stereotipi e pregiudizi.

Le storie di vita raccolte confermano quanto già emerso durante questi anni, ovvero quanto siano importanti le relazioni familiari, le relazioni sentimentali, il desiderio di definire una soggettività e un’assertività. Le donne indulgono forse molto più degli uomini a raccontarsi: il pensiero narrativo [Smorti 1994] sembra che appartenga loro molto più del pensiero logico astratto. Le memorie autobiografiche e la capacità di ricordare, la ricchezza e la selezione di quello che si racconta, sono il risultato di un delicato equilibrio biologico e culturale. Nei loro racconti non c’è posto per l’autocommiserazione per l’incapacità di reagire opportunamente agli eventi. Il solo fatto di trovarsi in una nuova realtà, fatta di nuove abitudini e complicati affetti, porterebbe moltissime donne a sentirsi disorientate e frustrate, ma dai loro racconti emerge quanto questo le abbia solo rese più forti e pronte a fare di tutto pur di ottenere forme di riconoscimento economico e sociale. Sono storie di giovani donne ostinate, capaci, resilienti che ci hanno creduto dall’inizio alla fine e che oggi possono ritenersi soddisfatte dei risultati ottenuti.

Andriana è giunta in Italia per ricongiungersi ai genitori immigrati, in particolare alla madre arrivata in Italia come badante. Giovane neo imprenditrice, oggi Andriana gestisce una bakery ad Airola, una piccola cittadina del beneventano. Durante i nostri incontri si è mostrata fin da subito disponibile e, con il suo linguaggio nel quale si alterna italiano e dialetto, ha iniziato a raccontarmi la sua storia, la vita di una ragazza vulnerabile e introversa che, in poco tempo, è maturata fino a diventare la donna audace e assertiva qual è oggi. É originaria di Tiraspol in Moldavia, arrivata in Italia nel 2003 dopo che i genitori si erano trasferiti qualche anno prima. Esordisce così: «Mio padre ha fatto camionista per quarant’anni, poi è arrivata mia mamma, che ha iniziato come badante, e poi tempo un paio di anni, che ci voleva tempo per fare carte, siamo arrivate noi. Loro è una vita che stanno qua, già hanno cittadinanza».

Il suo impatto con la realtà italiana non è stato facile, in particolare con la scuola. Le differenze con la Moldavia erano profonde e si manifestavano in ogni occasione del vissuto quotidiano, dai vestiti al cibo. Del resto la sua infanzia era stata abbastanza serena e i motivi della migrazione familiare non sono dettati dalla miseria ma dal desiderio di avere una nuova opportunità. Continua a raccontare:

Ho avuto infanzia bellissima, ho solo bei ricordi. Sai, mio padre non è venuto qua perché avevamo una vita difficile, mio padre ha sempre lavorato e siamo stati sempre bene. Il problema è nato quando ditta dove lavorava mio padre è fallita e mio zio stava qua e gli diceva di venire, mio padre venuto a vedere e, essendo che si è trovato bene, ha portato prima mamma e poi noi (Andriana 2022)

In Italia dopo aver finito il liceo, ha iniziato a lavorare anche se saltuariamente. «Però volevo fare comunque qualcosa, non mi piaceva stare senza fare niente». Il bisogno incessante di rendersi utile, la voglia di migliorare e, la necessità tipica del femminile di essere riconosciute, “viste” [Kaplan 2015] spingono moltissime donne a inventare e reinventarsi continuamente con ciò che è loro più congeniale: nel caso di Andriana attraverso la sua passione per la cucina. Con l’aiuto di Facebook, inizia a vendere le sue torte, ma non basta: «Avevo sempre il pallino in testa di aprire un’attività tutta mia, non volevo dipendere da altri». Riesce a ottenere un finanziamento per l’imprenditorialità femminile, rischia il tutto per tutto e apre la sua pasticceria. Ora, dopo due anni, ha anche del personale al suo servizio e c’è anche spazio per i dolci moldavi. É determinata, ha progetti di ampliamento della sua attività, le chiedo alla fine dei nostri incontri, un consiglio per chi volesse intraprendere un’attività come la sua, mi risponde: «Di non arrendersi mai. Se hai una passione devi crederci fino alla fine, perché poi quando meno te lo aspetti qualcosa di bello succede sempre». In questa integrazione di successo si sono coniugati i diversi tasselli che rendono possibile l’integrazione: finanziamento economico erogato da provvedimenti legislativi utilizzati in maniera efficace, determinazione nel voler perseguire il proprio progetto, una relazione positiva con il territorio, in particolare nei piccoli centri in cui ci sono le migliori condizioni per realizzare il cosmopolitismo vernacolare [Sen 2006], il settore alimentare che agisce da catalizzatore anche di proficui e sereni confronti interculturali. Ristorazione e alimentazione sono i settori nei quali si dà maggiore spazio e opportunità alla svolta imprenditoriale femminile una sorta di evoluzione della cura per le donne immigrate, e che risponde ancora una volta ad un ambito riconosciuto di pertinenza del femminile, ribadendo in qualche modo uno stereotipo di genere.

Tra le molte donne provenienti dall’Est che ho incontrato Ruxandra è stata forse la più difficile da intervistare, una donna riservata, di poche parole. Il suo carattere chiuso, quasi distaccato, non lasciava mai trapelare del tutto le sue emozioni e a ogni domanda sul suo passato si notava la sua difficoltà nel rispondere, quasi avesse paura a rivelare qualcosa di troppo o quasi nascondesse una ferita ancora aperta nella sua memoria. Più semplice, invece, è stato chiederle della sua attività, come se la sua intera vita fosse iniziata da quel momento, quel lontano 2012 quando, decide che il suo destino non sarebbe stato quello di badante, intrapreso da sua madre, bensì un futuro che lei stessa avrebbe costruito autonomamente. Oggi, infatti, Ruxandra gestisce ben quattro attività, tre market e una pasticceria, nelle zone del beneventano e del casertano, che vanno sotto il nome «La Tarancuta». Viene da Brașov, in Romania, vive da 14 anni in Italia. Qualche anno prima la madre era venuta in Italia per fare la badante. Come in molte delle storie raccolte, la madre si allontana da un marito violento e alcolizzato, il nucleo familiare si spacca, il padre e il figlio restano in Romania, mentre Ruxandra raggiunge la madre, non ha figli e non è sposata, ma non ne sente la necessità. Le sue scelte l’hanno portata a preferire una vita meno standardizzata, dove il lavoro è diventato il centro della sua esistenza. Questo non significa però che la sua scalata verso l’imprenditorialità sia stata meno difficile.

Ruxandra ha dovuto lottare come qualunque altra donna straniera per raggiungere il suo obiettivo e non si sente pentita delle sue scelte poiché ognuna di queste l’ha portata alla posizione in cui si trova oggi. Ha scelto tra maternità e lavoro ma non ha rimpianti:

No, io e mio compagno non vogliamo figli, poi all’inizio sempre presa da troppo lavoro e i figli per quanto belli limitano un poco e io volevo solo pensare a lavorare. Quando arrivi senza soldi e senza un lavoro fisso, che non sai se puoi mantenere te, non puoi pensare di mantenere anche figli. Ora invece che lavoro c’è e soldi non mancano, ho quarantacinque anni e non sento desiderio. Mi bastano mie nipoti quando vado a trovare e poi ho ragazzi che lavorano per me che tratto come figli. Mi basta questo (Ruxandra 2022).

Dopo un periodo iniziale in cui aiuta la madre come badante, sente la necessità del cambiamento e la voglia di fare altro. Così racconta:

Quando sono venuta qui subito pensato che volevo fare altro, qualcosa che più mi apparteneva di semplici pulizie. Anche in Romania sempre voluto aprire un’attività tutta mia, ma complicato per tanti motivi, così quando mia mamma proposto di venire qui, subito ho accettato, ma perché in testa avevo altre cose, altre idee (Ruxandra 2022).

Ha una formazione universitaria in economia anche se non si è laureata. Oggi possiede tre market e una torteria tra Montesarchio, Benevento e Santa Maria a Vico e li gestisce tutti da sola. I suoi negozi danno lavoro a ben undici ragazzi e può permettersi di tornare spesso nel suo Paese: un esempio di trasmigrazione riuscita. Mi dice con un pizzico di orgoglio: «Se penso da dove sono partita, da mio passato non proprio felice e che poteva aspettarmi futuro solo come badante, sono più che soddisfatta. Neanche nei miei più grandi sogni mi vedevo proprietaria di questa che posso chiamare grande catena».

Anche Ruxandra mi lascia con un’ultima riflessione sulle possibilità di realizzare i propri desideri:

È possibile per tutti ottenere tutto, non solo per chi nasce già con soldi in tasca. Anche se hai brutto passato e pensi di non meritare niente di meglio, anche se vedi altri ottenere cose con più facilità e meno sacrifici, non è detto che sta meglio di te. Mio consiglio è di guardare ognuno proprio percorso e fare di ogni esperienza negativa dieci esperienze positive (Ruxandra 2022).

Dai racconti emerge che la stragrande maggioranza di queste donne crede ciecamente nella modernità e nel progresso, nella convinzione che la diversità e il cambiamento sono opportunità che abbracciano e trasformano ogni giorno molti aspetti della nostra vita, inclusa la condizione femminile nelle società. Indubbiamente sono ancora molte le ambivalenze e le contraddizioni sulla differenza di genere come quella di dover scegliere tra maternità e lavoro o quella di puntare ad ambiti imprenditoriali di piccole imprese legati comunque ad un immaginario culturale riservato alla cura e all’alimentazione. Tuttavia la maggior parte delle imprenditrici, oggi, non si sente più una minoranza da proteggere, ma una forza lavoro in grado di contare vantaggiosamente sia per la società di accoglienza che di partenza. Dalla mia ricerca emergono elementi comuni e differenze specifiche, risultati di un’indagine che ha utilizzato l’approccio legato all’antropologia della persona che non crea modelli unificanti, ma riconoscimenti aderenti ai vissuti e consentono una più idonea interpretazione della complessità del fenomeno.

Andriana e Ruxandra hanno intrapreso strade imprenditoriali diverse, credendo ognuna nei propri obiettivi e/o capacità e ognuna imbattendosi nelle proprie difficoltà. Tutto ciò però è avvenuto partendo da una doppia difficoltà comune: essere donne e figlie di migranti. Hanno saputo però trasformare le loro difficoltà in un valore aggiunto. Definire un’appartenenza post nazionale, e il non appartenere ad un’unica terra o cultura, ma abbracciare e cogliere il meglio da entrambe, le rende interpreti di una specificità glocale. Figlie di donne immigrate che avevano scelto di essere invisibili alla società di accoglienza, di coltivare una cittadinanza sospesa e domestica, queste giovani nuove italiane hanno invece voluto mettersi in gioco incontrando e scontrandosi con le burocrazie, i rischi, le richieste di denaro e i prestiti da sottoscrivere, le diffidenze, gli stereotipi sulle donne di origine straniera. Tutto si è tradotto in resilienza e tenacia in nuovi orizzonti di senso in una prospettiva di reciproca crescita comune.

Generazione 2G. Transculturalismo, creatività artistica, geopolitica delle emozioni

Storie di vita, biografie che ci introducono dunque a percorsi di integrazione in cui difficoltà e possibilità sono insite come parte essenziale delle dinamiche identitarie delle seconde generazioni, in particolare, in questa seconda parte del saggio, delle generazioni 2G, ovvero di coloro i quali sono nati in Italia, figli di genitori immigrati, così come testimoniato dalla protagonista della storia di vita riportata di seguito. Le sue radici etniche non sono legate al mondo dell’est Europa. Siamo in altri percorsi di geografia delle migrazioni, quelli relativi alle aree africane, in particolare alla Liberia. Nelle vicende che caratterizzano la biografia di Karima 2G, ritroviamo i tratti di una giovane donna italiana di seconda generazione che ha avuto l’opportunità e la capacità di avere uno spazio e un ruolo nel mondo della musica e dello spettacolo senza escludere la sua crescita scolastica e universitaria. Nel nome d’arte che ha scelto c’è tutta la consapevolezza della sua condizione e del ruolo che può avere per le ragazze come lei. L’etnografia che emerge è il frutto di una raccolta di elementi tratti da interviste, da sue dichiarazioni e dall’uso che lei fa di forme di comunicazioni quali blog e social, nonché i testi delle sue canzoni e dalla sua musica. In ogni caso, il risultato, anche in questa vicenda, è quello di dare vita a forme di resilienza insospettate, a nuove capacità relazionali ed empatiche e come nel caso specifico di Karima 2G, a prodotti artistici innovativi, che mettono al centro il tema dell’identità migrante e dei percorsi che le diverse generazioni di migranti attraversano per definire se stessi. Il risultato è un nuovo «soggetto nomade», una nuova italianità che si riscrive e si rielabora connotandosi tra le altre con una assertività di genere e un nuovo femminismo transculturale più aggressivo rispetto al recente passato e molto più legato a temi di rivendicazioni socio economiche e dei diritti negati. [Azzurra, Bhattacharya e Fraser 2019] Interessante è come Karima stia usando Internet per una concreta nuova modalità di politica dell’identità non per la sua scomparsa –come molti temono per l’uso omogeneizzante del web- ma per una innovativa visibilità in spazi virtuali, attraverso cui l’individuo si espone allo sguardo dell’Altro per essere ascoltato o semplicemente per lasciare una traccia di sé. Vivere, in quest’ottica, significa per Karima, come per altri, prodursi nell’alternanza degli obiettivi che programmiamo e delle direzioni che prendiamo senza una preliminare preparazione, sull’orientamento del momento. Una ragione in più per parlare, quindi, di una vera e propria antropologia della vita [Montes 2015].

I suoi genitori appartengono ad una migrazione di successo, il padre viene in Italia come addetto ambasciata della Liberia a Roma. Lavorava già da tempo all’ambasciata liberiana e accetta di venire in Italia solo temporaneamente per poi restare definitivamente. Nel 1978 arriva con la moglie che non ha mai imparato del tutto l’italiano, a conferma dell’atteggiamento di prima generazione di migrante in particolare femminile, che ha resistenza a integrarsi totalmente. Tuttavia Karima, tra le pieghe di questa apparente migrazione di successo, ci restituisce specularmente un’immagine dell’Italia che «noi» tendiamo a non voler riconoscere: razzisti, intolleranti e poco aperti alla diversità. Dispone di più strumenti culturali per percepire l’ostilità e la mancata possibilità di integrazione che non vuole subire come forzata assimilazione. La scuola è, come del resto in tutti i percorsi di integrazione, elemento fondamentale. Anche in questo caso la sua vicenda esprime un prisma di diversità che coniuga più livelli: frequenta la scuola pubblica con cui ha un rapporto conflittuale e poi ha la possibilità di accedere alla John Cabot University a Roma. Queste due fasi della formazione non sono solo dettegli biografici, ma costituiscono elementi determinati per la sua ambivalenza identitaria. Racconta il suo incontro con gli insegnanti della scuola pubblica: «Gli insegnanti mi volevano impedire di usare il Pidgin English che mia madre invece usava». Poi la possibilità, dovuta ai primi successi della sua musica, di frequentare la John Cabot University (università americana a Roma) dove Karima respira una diversa dimensione organizzativa di relazione, di lingua e di contenuti disciplinari in una vera atmosfera transnazionale e interetnica che apre a una condizione relazionale glocale. In un suo articolo online sulla sua musica scrive:

[...] Sono stata influenzata dal mio percorso accademico presso la John Cabot University, dove sono a confronto con studenti provenienti da tutto il mondo. Il contatto quotidiano con culture diverse mi ha portato a realizzare che viviamo tutti gli stessi conflitti interiori ed esterni. Solo l’educazione può portarci lontano, rendendoci internazionali, mantenendo la nostra nazionalità (Karima 2021).

I riferimenti teorici sono chiaramente espressi da Karima che precisa:

Stuart Hall, il maestro della Cultural Studies è stato un mio punto di riferimento. Concentrandomi maggiormente su quest’ultimo e sul concetto di razza, anche se la situazione a cui Hall si riferiva era nel Regno Unito negli anni Sessanta, ho applicato i suoi studi sugli stessi problemi nella società italiana di oggi, sulle tematiche dell’immigrazione, del terrorismo e della religione in relazione al concetto di razza. Sono fermamente convinta che l’uso di un linguaggio discriminatorio e di stereotipi nei confronti degli africani e degli immigrati usati dai media, come forma di intrattenimento, siano dannosi per il pubblico, lo incoraggiano a odiare il prossimo per la sua religione, razza o cultura (Karima 2021).

Karima si è laureata a maggio 2020 con un BA in Comunicazione e Imprenditorialità. Sta finendo la sua seconda laurea in Scienze Politiche con una specializzazione in Arte e Design. Da queste vicende emerge come la scuola nei suoi diversi gradi ha contribuito in maniera ambivalente, sia allo spaesamento che all’appaesamento transculturale. In ogni caso, è lo spazio dell’incontro, non facile, eppure occasione imperdibile di confronto e di integrazione con tutti i limiti e le difficoltà che Karima mette in evidenza. Diverse sono state le fasi attraversate come lei stessa sottolinea, per realizzare un’armonica definizione del suo palinsesto identitario. Le dinamiche che si sono avvicendate sintetizzano e coniugano anche se in maniera ambivalente, quanto accadeva e accade tra la prima generazione dei migranti classici e la seconda. Ovvero il rifiuto di assimilazione alla cultura del paese di accoglienza per i primi, ma anche, come nelle seconde generazioni il desiderio di integrazione e dunque l’uso della lingua autoctona e l’amore verso la cultura del nuovo paese. Questa conflittualità emerge dall’uso della lingua che ha caratterizzato nel tempo il percorso della cantante italo-liberiana. In una prima fase, c’è il rifiuto dell’uso dell’italiano nei suoi testi tutti scritti in Pidgin English, un misto di dialetto africano e inglese coloniale, per sottolineare la sua posizione di ostilità alla cultura italiana. Oggi scrive testi anche in italiano e il plurilinguismo è il segnale che le due possibilità linguistiche sono continuamente e dialetticamente compresenti come per ogni identità plurima che si rispetti. Dice lei stessa:

Quando si hanno due identità si ha da una parte una «maggiore ricchezza», dall’altra diventa più difficile sintetizzarla, «rappresentarla come unica». Va fatta molta ricerca, si devono riprendere i contatti con la storia d’origine. Questo percorso mi ha aiutato per uscire con forza dal vittimismo nei confronti di un sistema razzista che non mi ha mai riconosciuta come italiana, non facendo sentire tale nemmeno me. Molte risposte sono arrivate dopo il viaggio in Liberia nel settembre 2013, il primo dopo la guerra civile. È stata come una rinascita, ho ritrovato me stessa e mi ha aiutato anche per la mia musica. L’Africa dà tanta forza, in un periodo di crisi e depressione la sua filosofia di vita ti fa combattere con il sorriso. Consiglio a tutte le cosiddette seconde generazioni come me di rivisitare le proprie realtà originarie (Karima 2021).

Si ibridizza in lei sia il desiderio di essere riconosciuta e accettata in Italia, sia la fierezza di appartenenza a radici ritrovate in una Liberia contemporanea che lei aveva conosciuto solo «raccontata» dai suoi genitori. Continua a raccontare Karima:

Nella mia Liberia sono riuscita ad andarci solo nel 2003 e ho capito molte cose, il viaggio mi ha prodotto un cambio radicale, questa terra mi ha dato un nuovo equilibrio, ho capito meglio anche l’Italia (esercizio di riflessività da osservatore a osservati e viceversa) ho vissuto il mio sentimento dell’odio per il non essere accettata, sono andata in profondità e comunque l’Italia mi dava cose forti che mi hanno fatto conoscere me stessa. Il confronto mi ha aiutata e mi ha dato poi una spinta ad amare l’Italia (Karima 2021).

Siamo di fatto di fronte alla possibilità concreta di coniugare l’antropologia riflessiva [Bourdieu 1992] e quella del reimpatrio [Clifford 2008] come possibilità di mettere a confronto più lingue più mondi, più culture in un rapporto di reciprocità continua e virtuosa. Karima invera nelle sue azioni sociali e nelle sue produzioni artistiche quelle che Clifford definisce nella logica dell’antropologia del reimpatrio come «articolazioni»

Articolazione è il connettere e disconnettere politico, il collegare e scollegare gli elementi – la concezione secondo la quale ciascun insieme socio-culturale che si presenta a noi come un nucleo intero è in realtà una sequenza di connessioni e disconnessioni storiche. [Clifford 2008].

Nella decodifica di contesti interetnici, è necessaria un’intensa esperienza riflessiva sulle potenzialità interpretative che derivano dalla propria prospettiva di osservazione. In quest’approccio è direttamente coinvolto nelle varie fasi della ricerca etnografica, l’antropologo della contemporaneità che è al tempo stesso ‘osservatore’, informatore’ e ‘indigeno’ così come il soggetto di osservazione diventa a sua volta da osservato osservatore.

In questa dinamica di reciproco riconoscimento, l’arte, la scrittura, la musica gioca un ruolo fondamentale di riconoscimento sociale, non solo per Karima, ma anche per altri soggetti migranti di seconda generazione che si esprimono in diversi linguaggi artistici. Attraverso le mie ricerche sulle scrittrici migranti in lingua italiana di seconda generazione ho avuto modo di verificare come la scrittura contribuisca alla costruzione del puzzle identitario post nazionale e opera nello stesso modo con cui Karima realizza i suoi prodotti artistici [Di Nuzzo 2021]. Uno dei suoi primi lavori, il disco «2G» è un disco manifesto, un urlo di protesta contro un paese che non riconosce come italiani quelli che nascono qui da famiglie straniere. Un suono militante ed esplicito a partire dal primo singolo, Orangutan, uno schiaffo in versi indirizzato a Roberto Calderoli, il leghista che accostò l’animale all’ex ministro dell’Integrazione Cécile Kyenge. L’album fonde con gusto e originalità l’hip-hop con l’elettronica e i tradizionali suoni africani. Karima spazia dal grime – rap delle periferie inglesi – allo Uk Funky fino al reggae, uno dei primi «amori» d’infanzia.

I testi, le lingue, la musica, le emozioni delle sue delle canzoni sono una sorta di geoemozionalità transculturale. Amore, odio, resilienza, fierezza, desiderio di giustizia e di riconoscimento hanno in Karima una correlazione singolare dando vita a stati d’animo complessi e particolari. La sua attività di artista la impegna in una «politicizzazione» che attraversa le ideologie e mira a quella che il femminismo aveva qualche decennio addietro definito «politica del desiderio» [Cigarini 2022] che respinge il modello burocratico assertivo della politica tradizionale e che invece rivendica spazi emozionali e che si potrebbero inscrivere in quella interpretazione della storia che rimanda alla «geopolitica delle emozioni» [Moïsi 2009] in cui la paura e la rabbia muovono il mondo più di ogni altro fattore. Sono gli «emozionati» a cambiare il mondo e Karima continua a dire di sé:

La politica e il sociale sono sempre state presenti nella mia vita: essendo nera, in un Paese nel quale il nero non può essere italiano, tu non fai, ma sei politica. Non sono stata io a sceglierlo. Il mio intento principale, in ogni caso, resta quello di fare musica, che ci permette di arrivare agli altri senza barriere. Ammetto di essere cresciuta con la speranza di poter cambiare il mondo, ma oggi credo che non si possa cambiare se prima non cambiamo noi. In Malala (una delle sue ultime produzioni musicali) parlo di attualità, ma anche di un passato nel quale siamo rimasti imprigionati: liberarsi dalle catene del passato è una grande sfida e richiede molto coraggio, ma forse è l’unico modo per mirare verso il futuro. Non so se questo è il messaggio principale del disco, so però che mi fa sentire libera. Credo che la musica sia pura medicina per la mente e che in qualche modo possa risvegliare anche i più dormienti. Ognuno di noi è responsabile del cambiamento, io lo sono come ogni cittadino e voglio contribuire con la mia musica. Sono ottimista e sento che il clima di tempesta presto finirà. Dobbiamo renderci conto di essere già una società multiculturale anche se ancora molti sono vecchio stampo, creano stereotipi e slogan che vorrebbero un’Italia solo italiana e bianca. Sarebbe bello tralasciare la politica e basarsi solo sulla musica (Karima 2021).

La sua musica è dunque una sintesi di complesse componenti come lo è la società post-moderna; è passione, è riconoscere ritmi, linguaggi diversi. Le tematiche dei testi spaziano dai riferimenti a Berlusconi e Calderoli fino ai sentimenti di rabbia e d’amore espressi non più in pidgin english, ma ora anche in italiano. L’uso dell’italiano rappresenta il vero approdo finale ad una identità glocale e alla compresenza armonica di più identità, di più linguaggi, di contaminazioni sonore e di grammatiche che leggono le diversità del mondo. Politica del desiderio è il modo con cui Karima fa politica sulle emozioni, sul desiderio di un nuovo modo di interpretare l’impegno dell’artista e della creatività come spazio per interpretare la cittadinanza come del resto richiede la stessa UE per essere cittadini del futuro in Europa. Una identità finalmente transnazionale e autenticamente europea. Queste generazioni 2G rispondono ai dilemmi dell’appartenenza dando vita a fucine eccezionali di creatività, in cui si mescolano, si inventano e re-inventano forme e pratiche culturali che rinnovano l’intera società. Il soggetto nomade d’oggi é un apparato di forze o di affettività e d’influenze storiche e sociali, capace di reggersi (nello spazio) e di consolidarsi (nel tempo) all’interno della configurazione singolare detta anche ‘individuoʹ. È una porzione di forze che si reggono in equilibrio rispettivo e reciproco, e che permettono di attraversare processi più o meno complessi di trasformazione e di divenire. È un campo di affetti trasformativi e di cambiamenti.

Per una conclusione

Resta da chiarire e ribadire quanto sia problematico per gli antropologi trasformare e rendere scrittura quanto vissuto e ascoltato sul campo. L’antropologo non è un’entità fissa come non lo è il campo sociale che i soggetti abitano e dunque questo lavoro si può definire parafrasando Augè e Bourdieu come un lungo, si spera proficuo, di ‘esercizio di riflessività’ applicato alle categorie dell’antropologia e al soggetto stesso che le pratica. L’immaginazione etnografica che ne è il risultato diventa linguaggio che rende possibili forme di vita e interpretazioni. Non si rinuncia ovviamente alla riflessione critica su regole più generali, categorie concettuali e strumenti teorici utili alla spiegazione e comprensione delle culture, ma si tiene pure conto di ciò che di primo acchito pare più ordinario e sfuggente quale il vissuto personale, la vita quotidiana, l’interazione con i propri sensi e pensieri. Questi esempi trasversali di seconde generazioni che ci offrono l’immagine di un nuovo modo di essere italiane e di vivere la dimensione di identità plurime che attraverso l’approccio dell’antropologia transculturale coniugata all’antropologia del rimpatrio dà l’opportunità di procedere da parte del ricercatore sempre più consapevolmente con fare autoriflessivo, ponendo se stesso come soggetto focale rappresentativo e avviando un confronto stretto fra individuo e collettività, fra soggetto e oggetto, all’interno dello stesso sistema culturale di appartenenza. Questa necessità riflessiva io l’ho vissuta nella relazione con i miei interlocutori sul campo nelle diverse occasioni di ricerca sui soggetti migranti, che mi hanno fatto sentire per un verso oggetto della loro osservazione e per l’altro testimone della loro diversità. Fra le potenzialità del ‘fare’ antropologia del mondo contemporaneo è possibile inscrivere il superamento dell’antinomia locale-globale, così come quella speculare di interno ed esterno. L’antropologo dei mondi contemporanei privilegia, giustamente, un posizionamento dinamico del soggetto volto a cogliere le interconnessioni fra le realtà locali e la dimensione transnazionale dei processi relazionali fra le complesse entità culturali e sociali. Caleidoscopi possibili, puzzle difficilissimi da comporre ma la strada non può essere altro che questa tra ripensamenti, accelerazioni, ostacoli, paure, desideri, superficialità e intuizioni. Solo così dal sentirsi «fuori da casa» è possibile per queste figlie di migranti trovare, vivere e sentirsi finalmente a «casa».

Bibliografia

Ambrosini M. 2004, Seconde   generazioni: un’introduzione al futuro dell’immigrazione in Italia , Torino: Fondazione Giovanni Agnelli.

Appadurai J. 2014, Il futuro come fatto culturale , Milano: Raffaello Cortina Editore.

Azzurra C., Bhattacharya T., Fraser N. 2019, Femminismo per il 99%. Un manifesto , Bari: Laterza.

Basterier A. E Dassetto F. 1990, Italia, Europa e nuove immigrazioni , Torino: Fondazione G. Agnelli.

Besozzi E., Colombo M., Santagati M. (a cura di) 2009, Giovani stranieri, nuovi cittadini. Le strategie di una generazione ponte, Milano: Franco Angeli.

Bourdieu P. 1992, Risposte. Per un’antropologia riflessiva , Torino: Bollati Boringhieri.

Cigarini L. 2022, La politica del desiderio e altri scritti , Salerno-Napoli: Ortose.

Clifford J. 2008, Strade . Viaggio e traduzione alla fine del secolo XX , Torino: Bollati Boringhieri.

Di Nuzzo A. 2022, Dall’invisibilità alla soggettività. Imprenditorialità femminile di donne immigrate in Campania, in Dialoghi Mediterranei Rivista on line Istituto Euroarabo Mazzara del Vallo n.56 luglio 2022 ISSN 2384-9010.

Di Nuzzo A. e Di Martino E .2021, “Emotion, communication and social change in Italian second-generation migrants: Karima 2G”, intervento al convegno internazionale “The Linguistic Construction of Emotional Challenges in a Changing Society” (Languaging Diversity 2021, 14 ottobre 2021), Université de Lille, France. Visionabile al link: https://underline.io/events/183/sessions/7160/lecture/36157-emotion,-communication-and-social-change-in-italian-second-generation-migrants-karima-2g (doi: 10.48448/twfv-4167)

Kaplan L. 2015, Le perversioni femminili , Milano: Raffaello Cortina Editore.

Levy I. R. 2020, Per un’antropologia imperniata sulla persona,  in Borofsky R. 2020 (ed.), L’antropologia culturale oggi , Roma: Meltemi, 225-234.

Montes S. 2015, Per un’etnografia dialogica e improvvisata , «Dialoghi Mediterranei», 9. http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/per-una-etnografia-dialogica-e-improvvisata/

Moïsi D. 2009, Geopolitica delle emozioni. Le culture della paura, dell’umiliazione e della speranza stanno cambiando il mondo , Milano: Garzanti.

Nanni M.P., 2020,  Rapporto immigrazione e imprenditoria , Roma:Centro Studi e ricerche, IDOS

Portes A., Fernàndez-Kelly P., e Haller W. 2005, Segmented Assimilation on the Ground: The New Second Generation in Early Adulthood , Ethnic and Racial Studies, 28(6):1000-1040.

Sassen S. 2006, Globalizzati e scontenti , Milano: il Saggiatore.

Sen A. 2006, Identità e violenza , Roma-Bari: Laterza.

Smorti A. 1994, Il pensiero narrativo,  Firenze: Giunti.


1 Dati forniti da Unioncamere e InfoCamere sulle imprese di stranieri iscritte al Registro delle Imprese delle Camere di Commercio a dicembre 2020, un’indagine statistica che evidenzia una crescita del 2,9% rispetto ai dodici mesi precedenti.

2   Si pensi agli studi effettuati negli Stati Uniti. CILS (Children of Immigrant Longitudinalstudy) uno studio longitudinale progettato per studiare il processo di adattamento della seconda generazione di immigrati.